I SIMBOLI PRECOLOMBIANI,
Mitologia, Cosmogonia, Teogonia
 INTRODUZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA
  
Per pura invidia siamo costretti a sorridere della ingenuità degli indiani e a vantarci della nostra intelligenza, perché altrimenti scopriremmo quanto siamo impoveriti e decaduti, La conoscenza non ci arricchisce, ci allontana sempre più dal mondo mitico nel quale una volta vivevamo per diritto di nascita.  C.G. Jung
In occasione del Cinquecentenario della 'scoperta' dell'America, che noi abbiamo anche definito 'incontro fra due culture', e che invece gli indigeni d'oltreoceano chiamano, significativamente, la Conquista', ci sembra degno di nota come, nel vasto panorama delle manifestazioni previste (spettacoli, convegni, mostre, regate, concerti e celebrazioni varie), tranne alcune eccezioni, i temi della cultura precolombiana siano stati praticamente assenti. 

Non ce ne meravigliamo troppo, dal momento che le antiche civiltà americane, nel nostro come in altri paesi, non sono state oggetto di studio con la profondità e l'interesse che sono stati invece dedicati per esempio, alle culture orientali di ogni tipo. 

Questa obiettiva carenza è forse anche la causa principale di un gran numero di pregiudizi e luoghi comuni che ancor oggi gravano sull'immagine più diffusa dell'America indigena e dei suoi attuali rappresentanti. L'atteggiamento etnocentrico della nostra civiltà, dei resto ha sempre costituito un rigido diaframma fra noi, uomini moderni, e i mondi 'diversi', impedendoci di rispettarne le espressioni e comprenderne l'essenza. 

La persistenza di tali preconcetti, del resto, ha fatto sì che ancor oggi le informazioni e le conoscenze acquisite sulle numerose civiltà precolombiane non siano state adeguatamente diffuse; inoltre le varie manifestazioni degli indigeni americani (arti, danze, cerimonie, attività rituali etc ... ) sono spesso state studiate dagli esperti con distaccata, quasi 'asettica' scientificità, con una sorta di freddezza forse anche dovuta ad un limitato contatto diretto con la loro realtà esistenziale ed umana. 

Deboli e indifesi, gli eredi della grande Tradizione Precolombiana, ancor oggi, devono continuare a lottare contro l'annientamento del loro ambiente, della loro razza e della loro cultura, che è stata dimenticata. 

Coloro che si scandalizzano per la pratica rituale del sacrificio umano nell'antica America - spesso volontario - che aveva profonde motivazioni spirituali e religiose (certamente di difficile comprensione per noi uomini moderni), assistono peraltro con indifferenza al crescente numero di indigeni sacrificati, oggi, sull'altare del dio 'Progresso'. Intendiamo dire che le drammatiche testimonianze della voce dei vinti di allora1 trovano eco, ancor oggi, in pagine di storia contemporanea - lontana dai tempi 'oscuri' della Conquista, quando non esistevano ancora scienze moderne come l'antropologia e l'ecologia - in una società che si proclama scientifica ed evoluta e che, ipocritamente, continua a distruggere ed annientare ambienti e culture -e persone che intralciano la sua inesorabile avanzata.2 

Tanta incapacità di comprendere civiltà diverse dalla nostra è anche la logica conseguenza di un progressivo allontanamento dai principi Tradizionali; la nostra cultura, infatti, si basa sulla diversificazione, sulla divisione infinitesimale e infine sulla meticolosa catalogazione di molteplici frammenti culturali; tale processo di frammentazione - opposto al principio Tradizionale di una unificazione totalizzante - è attento solo alle forme 'esteriori', che rendono apparentemente diverse le varie manifestazioni culturali dell'uomo; «... Il passaggio dall'esteriore all'interiore è anche il passaggio dalla molteplicità all'unità, dalla circonferenza al centro, al punto unico, da dove è possibile, all'essere umano, restaurato nelle sue prerogative dello 'stato primordiale', elevarsi agli stati superiori".3 

È appunto in uno stato trascendente e 'primordiale' - dimenticato dall'uomo moderno che ha negato ogni principio d'ordine superiore che continua a svolgersi da sempre l'esistenza dell'indigeno americano (come quella dell'uomo 'Tradizionale' in generale), che ci risulta pertanto incomprensibile, abituati come siamo al concetto di un tempo 'storico', che associamo all'idea di una continua 'evoluzione' o 'progresso'; i successori dell'uomo precolombiano, invece, «... non transitano per le vie delle trasformazioni tecniche e sociali, ma piuttosto posseggono, per un ordine cosmico e divino, una condizione permanente, immutabile".4. 

Per queste ragioni, l'indigeno vive costantemente in un'èra mitologica, cioè in un tempo ed uno spazio sacri, ch'egli vivifica e sacralizza permanentemente mediante il rito, ripetendo il gesto fatidico ed originario dell'eroe mitico nel quale si identifica, attingendo così direttamente nel mito l'espressione della sua identitá storica.5 La sua azione rituale, inoltre, nasce dalla consapevolezza di mettere in azione energie invisibili - ma non per questo meno reali ed effettive -che, mettendolo in comunicazione con altri piani dell'esistenza, lo rendono in tal modo partecipe e corresponsabile della vita cosmica; egli sperimenta così il 'sentimento misterioso',6 un profondo senso di comunione con l'Invisibile, che gli si manifesta nella bellezza del Creato, ch'egli considera sacro, e dal quale sa attingere ispirazione, saggezza e forza. 

Tali principi, sconosciuti ai figli di una società indebolita e corrotta come la nostra, sono inoltre diametralmente opposti a quelli che hanno ispirato il moderno approccio 'scientifico' della ricerca; risulta pertanto molto difficile svolgere una corretta indagine antropologica sulle culture indigene se si prescinde dalla considerazione di realtà metafisiche alle quali l'Uomo Tradizionale, ritenendole invece l'essenza prima d'ogni cosa manifestata, si rivolge nella sua azione rituale. 

La simbologia sacra, strumento reale ed effettivo nell'azione rituale - in quanto espressione visibile e veicolo delle realtà metafisiche offre pertanto una chiave di lettura indispensabile anche nell'interpretazione di determinate rappresentazioni simboliche (codici, statuette, bassorilievi etc ..) dell'uomoprecolombiano che in mancanza di tale strumento interpretativo, rischiano di rimanere per noi assolutamente incomprensibili, impenetrabili, 'ermetiche', appunto, come vuole la 'Tradizione'. 

In questa ottica si inquadra il lavoro dell'Autore, che potremmo definire unico nel suo genere, per il punto di vista da cui trae origine la sua indagine, e il piano metodologico nel quale si sviluppa. 

Partendo dalle consuete basi di informazione scientifica, González opera una profonda analisi attraverso il piano simbolico, utilizzandolo come chiave di lettura delle varie espressioni del pensiero precolombiano. 

Tale tipo di indagine, non prescindendo, come spesso accade, dagli aspetti della Tradizione sacra e simbolica, ma facendone piuttosto un punto di partenza per una indagine sistematica, ci rende così un'immagine assai ricca e complessa, una interpretazione nuova, che offre un contributo fondamentale alla conoscenza -di temi che possono gettare nuova luce sulla Weltanschauung delle popolazioni precolombiane. Intendiamo dire che analizzando i vari elementi e le forme di cui si compongono le manifestazioni culturali precolombiane, ne ha evidenziato soprattutto il contenuto simbolico, base dei Princìpi che hanno generato tali manifestazioni (miti, cosmogonia, teogonia, architettura cerimoniale, attività rituale etc...). 

La semplice descrizione di un rito, infatti, non ci informa sul suo significato, mentre la conoscenza dei simboli utilizzati nello svolgimento dell'azione rituale stessa ne rende immediata la comprensione; senza il presupposto della conoscenza dei simboli e della loro funzione, ogni attività rituale perde infatti il suo significato, diventando agli occhi di chi si propone di analizzarla una mera successione di gesti inutili e parole casuali. 

Il lavoro dell'Autore dimostra invece come la conoscenza della Simbologia Tradizionale permetta di scendere nella profondità della manifestazione stessa, estraendone, per così dire, la radice', il 'principio primo' che l'ha originata, che si esprime nella dimensione manifesta col linguaggio del simbolo (che, per sua natura, rimanda appunto al 'princìpio non manifesto' che l'ha generato). 

Su questo Principio González basa tutta la sua indagine metodologica, evitando una prospettiva settoriale sulle varie manifestazioni dei pensiero indigeno precolombiano, e sulle differenti forme delle sue espressioni culturali, accogliendole invece tutte in una visione totalizzante; le mette, inoltre, in rapporto con quelle delle altre grandi Tradizioni, particolarmente quella ebraica, e anche quelle egiziana, indù etc. Ne emerge così una corrispondenza ammirevolmente coerente di principi, credenze ed esperienze; l'Uomo ritrova così il suo centro, la sua collocazione nell'Universo della Creazione; in tal modo egli, espressione vivente della Tradizione Unanime, diviene protagonista del dramma cosmico, e a lui tocca di sacralizzare o profanare il mondo e la vita. 

Conformemente ad una scuola antropologico-filosofica, per questi principi basilari l'Autore ha ritenuto a suo tempo importanti i saggi di autori quali René Guénon, Mircea Eliade, Julius Evola, Artuto Reghini etc.7; tali opere costituiscono una premessa metodologica indispensabile per ogni studio antropologico orientato alla comprensione dell'universo simbolico e mitologico dei Popoli Tradizionali. 

In base a questi princìpi, González afferma che, per poter comprendere le culture e i simboli precolombiani, sarebbe necessario un totale rivolgimento dei nostro modo di pensare, condizionato dagli schemi fissi della moderna ricerca scientifica, unica ufficiale ed accettata. 

Neppure eccellenti strumenti culturali sono sufficienti, infatti, per interpretare correttamente determinati aspetti della cultura precolombiana senza la conoscenza dei Principi Tradizionali. A conferma di queste convinzioni dell'Autore, desideriamo citare un passo dalla prefazione al Popol Vuh (testo sacro dei Maya), scritta da un eminente studioso: «Benché fosse vissuto per qualche tempo tra gli Indiani d'America, l'Abate [Brasseur] non riuscì a comprendere la loro mentalità primitiva, e attribuì loro gratuitamente idee e pensieri elevati simili a quelli dei popoli del Vecchio Mondo, credi di una cultura classica multisecolare".8 

Tali sconcertanti affermazioni trovano smentita nella profonda indagine svolta da González, come nel lavoro di un altro autore, che ha messo in particolare evidenza i complessi significati filosofici, simbolici ed esoterici del Popol Vuh, giungendo ad affermare infine che esso non è affatto inferiore per valore filosofico ai grandi libri che hanno guidato la coscienza dell'uomo. 9 

Analoghi vizi di fondo hanno limitato l'interpretazione di altri testi precolombiani, come ad esempio alcuni passi del Chilam Balam; la lingua di Zuya', utilizzata in questo testo come esoterica e solo per iniziati, è pregna di riferimenti calendaristici e cosmogonici, che alcuni studiosi adducono come prova contraria all'effettivo carattere iniziatico della stessa.10 Proprio tali contenuti ne confermano, invece, a nostro avviso, l'autenticità, essendo i Principi Tradizionali intimamente legati al Modello Cosmico. 

In proposito ai pregiudizi dell'uomo moderno e alla sua incapacità d'intendere dimensioni esistenziali estranee ed ignote alla portata della sua esperienza vi sono alcuni aspetti della cultura americana su cui l'Autore si sofferma, riguardo ai quali vorremmo aggiungere qualche breve considerazione. Intendiamo riferirci in particolare all'uso delle sostanze psicotrope e all'esperienza sciamanica, spesso confusamente ritenute pratiche 'stregonesche'. Data la complessità e la vastità dell'argomento, non pretendiamo certo di fornire in questa sede spiegazioni approfondite, per le quali rimandiamo alla bibliografia specifica; desideriamo però contribuire a dissipare quell'alone di sospetto e istintiva disapprovazione che comunemente accompagna giudizi affrettati e superficiali - frutto di inadeguata informazione -secondo i quali certe esperienze sono considerate proprie di popoli 'selvaggi', che specialmente in esse manifestano un persistente stato di arretratezza culturale.  Com'era per l'idromele di Bacco nei riti di Eleusi, così l'assunzione di droghe nella Tradizione precolombiana è stata - ed è - sempre utilizzata a fini sacri e rituali. Ogni pianta ha un uso differente, una diversa preparazione e un suo specifico potere: il peyotl, ladatura, i funghi, il balché, il San Pedro, l'ayahuasca etc. vengono utilizzati per vari e differenti scopi e in diverse occasioni, come per la cura delle infermità, per le cerimonie religiose, nelle danze sacre, e così via.11  L'assunzione delle piante psicotrope è volta, per l'indigeno, al raggiungimento di livelli superiori di coscienza, nell'intento di stabilire una comunicazione con l'entità - o spirito - che si manifesta, appunto, nella specie vegetale utilizzata. 

L'uomo moderno, abituato - ed educato - al rifiuto della trascendenza, deve fare perciò un vero sforzo intellettuale ed esistenziale per comprendere come questa esperienza rientri nella sfera del sacro; nella nostra civiltà, infatti, la 'droga' (privata dell'essenza vitale della pianta e ridotta ad inerte sintesi chimica) non costituisce una ricerca di Conoscenza ma piuttosto una fuga dalla realtà, un'espressione di debolezza e di rinuncia, un vizio della mente, in ultima analisi un'esperienza di 'consumo'. 

Collegata all'uso rituale di piante psicotrope e tesa all'ampliamento della Coscienza verso i regni elevati dell'Invisibile è anche l'esperienza sciamanica, espressione di un individuale percorso evolutivo volto alla Conoscenza, e riservato solo a pochi che, per doti naturali e per innata disposizione interiore, sono 'chiamati' a questo ruolo. 

Attraverso un lungo e faticoso apprendistato, lo sciamano raggiunge l'acquisizione di determinati poteri, che utilizza nell'intento di gettare un ponte di comunicazione con i mondi spirituali, per ristabilire l'armonia della Comunità e del Cosmo e per riconciliare forze opposte, effettuando cerimonie di guarigione, propiziatorie, di divinazione etc. 

Le sue azioni rituali affondano antiche radici nella Tradizione Mitologica Primordiale; in America, come in Asia ed in Africa, la fenomenologia dello sciamanismo è una rappresentazione della Vita e del Cosmo, espressa da un insieme di azioni rituali, rivolte a potenze d'ordine sacro. La ricerca dei poteri sciamanici rientra, infatti, nella sfera delle potenze magico-religiose in genere, poiché l'uomo tradizionale sa identificare ovunque nel cosmo una sorgente del sacro, un frammento di ierofania12 

Per tali ragioni l'attività sciamanica non va confusa con quella, negativa, dello stregone, che utilizza energie d'ordine inferiore. Queste considerazioni mirano a chiarire anche alcuni gravi equivoci, che hanno distorto la traduzione e l'interpretazione di una certa letteratura in merito.13 

I capi ed i sacerdoti delle popolazioni precolombiane avevano come attestano i cronisti dell'epoca della Conquista - caratteristiche sciamaniche. Sotto questa prospettiva va correttamente inquadrato il fenomeno del 'Nágualismo', magica identificazione con animali simbolici (giaguaro, aquila etc.), spesso oggetto di fraintendimenti nella moderna interpretazione. 

L'Autore spiega a questo proposito come, nella simbologia zoomorfa della mentalità indigena, gli animali - che simbolicamente si riferiscono a determinate energie cosmiche - siano vincoli o intermediari fra l'uomo e lo spirito, fra l'essere umano e le deità. 

Nella Tradizione Precolombiana il Nagualismo era una delle facoltà connesse alla figura sacerdotale: nelle cronache dell'epoca, infatti, alcuni sacerdoti, chiamati anche 'Sacerdote-Giaguaro' (Oceloquacuilli) per l'identificazione mistica e simbolica con questo animale, trascorrevano la loro esistenza nella clausura del tempio e possedevano poteri straordinari. 14 

Durante la Conquista, in base all'accusa d'esser fondata su pratiche demoniache, l'attività dei sacerdoti-sciamani fu duramente repressa, essendo il loro potere difficilmente 'controllabile' all'interno della nuova organizzazione sociale e religiosa. 

Desideriamo inoltre sottolineare come sia l'assunzione rituale di sostanze psicotrope che la via sciamanica, siano in stretta relazione all'esperienza del processo iniziatico, cui l'Autore dedica un intero capitolo. 

Il tema dell'Iniziazione, infatti, accomuna la cultura precolombiana a tutte le grandi Tradizioni: "... nella tradizione sacra di tutti i popoli antichi, l'iniziato apprendeva le cerimonie sacre della tribù, i nomi degli dèi ... e apprendeva soprattutto i rapporti mistici fra la tribù e gli Esseri Soprannaturali, quali sono stati fissati all'origine dei tempi".15 

Del resto, rappresentazioni allusive dell'esperienza iniziatica sono ripetutamente presenti nelle varie manifestazioni dell'arte precolombiana, espresse - ed evidenti - in numerose raffigurazioni a carattere simbolico che, non correttamente intese, hanno dato luogo troppo spesso ad innumerevoli quanto improbabili congetture sul loro significato. 

Alla luce di tali contenuti l'arte precolombiana, nelle sue varie espressioni, può certamente definirsi Tradizionale, come appare evidente nel simbolismo costruttivo della piramide, emblematica rappresentazione di un graduale processo di purificazione e ascensione spirituale verso I' 'Essenza', quinto punto elevato e centrale, corrispondente allo spazio sacro del Tempio. 

Vorremmo a questo punto chiarire come l'Arte Sacra e Tradizionale non possa essere assimilata al concetto odierno di 'arte religiosa', intesa come semplice 'convenzione' e ripetizione di modelli iconografici fissi, ma piuttosto porti in sé, nelle sue molteplici forme, il fermento di un risveglio spirituale attraverso i simboli che manifesta. 

Anche le danze tradizionali degli indigeni americani - di cui l'Autore ci parla - sono una manifestazione,pur contingente e fugace, di arte sacra, in cui il corpo stesso deldanzatore si trasforma in strumento rituale; già Artaud aveva ammirato alcune danze indigenemesicane, osservando come esprimessero un'autentica concezione del sacro, in un modo che la coscienza europea non conosceva più.16 

Un'occasione per un autentico incontro con le culture arcaiche d'America e con la grandezza del loro messaggio potrebbe essere, per il viaggiatore europeo, la visita delle zone archeologiche precolombiane, imponenti centri cerimoniali, spessoriduttivamente definiti 'rovine. 

È il caso, in proposito, di puntualizzare come"...nell'antichità, il luogo designato al rito era uno spazio vivente, fatidico, magnetico, ove ogni gesto compiuto e parola pronunciata riceveva un senso di ineluttabilità e di eternità, trasformandosi in una specie di decreto per l'invisibile". 17 

I luoghi sacri, inoltre, venivano vivificati: mediante la consacrazione, i templi, come le immagini e gli oggetti rituali, diventavano ilricetacolo effettivo di influenze spirituali, senza la cui presenza i riti al quali dovevano servire sarebbero stati privi di efficacia. 18 

Attualmente questi luoghi subiscono un processo di desacralizzzione, che liritrasforma in luoghi profani;19 vengono spesso deturpati da ristoranti e botteghe artigianali, quando non anche da spettacoli con effetti laser visivi e sonori, destinati al turismo - e al profitto che ne distruggono la silente bellezza e l'incanto. 

In tal modo il visitatore, giunto da lontano nel desiderio di accostarsi alla comprensione di queste antiche ed enigmatiche civiltà, si vede riproporre realtà 'di consumo' identiche a quelle da cui proviene, e la sua attenzione viene così distolta dalla contemplazione, unico incontro autentico, e forse rivelatore, con le vestigia del mondo precolombiano; le antiche costruzioni paiono infatti, misteriosamente, riacquistare il loro fascino arcano e la loro suggestione non appena torna il silenzio: il Sacro può così esprimersi attraverso il linguaggio dell'Arte, e lo Spirito della Bellezza, che da essa emana, può suscitareun'immediata esperienza di comprensione. 

Parimenti, ascoltando un indio che suona un flauto preispanico per le strade del mondo, se sapremo seguire nella melodia l'intimo volo del suo cuore, egli ci condurrà verso'altezze incontaminate, ove dimora, eternamente, la sua 'alma encantada'; forse allora il nostro cuore sarà pronto ad accogliere il messaggio - e l'eredità - della Cultura Precolombiana e dei suoi dèi che, come dice l'Autore, non attendono altro che d'essere vivificati, per potersi manifestare dentro di noi in tutta la loro potenza. 

Con la presente traduzione, l'ampliato apparato di note e bibliografico nonché la nuova parte iconografica, abbiamo inteso offrire un contributo alla diffusione della tradizione dei popoli indigeni Americani. Agnese Sartori

NOTE
1 Miguel Leòn Portilla: Il rovescio della Conquista. Testimonianze Azteche, Maya ed Inca. Adelphi, Milano, 1987.
2 I quaderni di Avallon. n. 22: I genocidi culturali. Ed. Il Cerchio, Rimini, 1990. Cfr. anche Nando Minnella: Frecce spezzate. Gli indiani d'America ogg: voci e immagini di un popolo in lotta contro l'estinzione. Ed. Kaos, Milano, 1990.
3 René Guénon: Considerazioni sulla via iniziatica. Ed. Melita, Genova, 1987, pag. 312.
4 Alfredo Lopez Austin, El invento y el descubrimiento en la concepcíón mítíca del mundo, in Mexico Indigena» n. 14 - INI Mexico 1990.
5 «Il rito è il mito in azione, e gli elementi che utilizza, che siano sonori, visivi, o gestuali, sono simbolici. Il rito drammatizza il mito attraverso i simboli. Vi è perciò una unità fra simbolo, mito e rito... Il gesto, la parola e la forma attualizzano i miti, permettendo la loro incarnazione.» Federico González: Arte, Simbolo y Mito, in: SYMBOLOS - n. 2, Ed. Agartha, Barcelona, 1991.
6 CH.A. Eastman: L'anima dell'indiano, Adelphi, Milano, 1988.
7 Circa il simbolismo numerico, la visione cosmogonica del mondo arcaico, la struttura dei luoghi cerimoniali e i temi delle culture tradizionali in generale, principi similari vengono esposti, per fare alcuni esempi, in René Guénon: Considerazioni sulla Via Iniziatica (I Dioscuri, 1987), Il Re del Mondo (Adelphi, 1987), Simboli della Scienza Sacra (Adelphi, 1975), Forme tradizionali e Cicli Cosmici (Edizioni Mediterranee, Roma 1987), La Crisi del Mondo Moderno (Edizioni Mediterranee, Roma 1984); inoltre in Julius Evola: La Tradizione Ermetica, (Edizioni Mediterranee, Roma 1971), Il Mistero del Graal (Edizioni Mediterranee, Roma 1972), Rivolta contro il Mondo Moderno (Edizioni Mediterranee, Roma 1984).
8 Popol Vùh, a cura di Adrian Recinos, Ed. Einaudi, Torino, 1981, pag. LXXVII.
9 Raphael Girard: La Bibbia Maya - il Popol Vuh - storia culturale dí un popolo, Ed. Jaca Book, Milano, 1976, pag. 18.
10 cfr. Silvanus Morley: I Maya, Editori Riuniti, Milano, 1984, pag. 14l.
11 In proposito, sono stati effettuati numerosi studi scientifici; fra i più recenti, ci sembrano interessanti quelli di R.E. Schultes e A. Hofman: Plantas de los dioses, F.C.E., Mexico, 1979; E. Gordon Wasson: The wonderous mushroom, Mc Graw-Hill Book Co., New York, 1980; e di O. Gonçalves de Lima: Pulque bakbé y pajaru en la etnobiologia de las bebidas y de los alimentos fermentados, F.C.E., Mexico, 1990. P, Evan Shultes: Plantas alucinogenas, La Prensa Mexicana, Mex 1982. Wasson G., Kramrisch S., Otto e Ruck c. La Búsqueda de Perséfone, F.C.E. Mex 1992; M. de La Garza, Sueño y alucinación en el mundo náhuatl y Maya - Unam, Mexico 1990; X. Lozoya: Los señores de las plantas - Pangea Ed., Mexico 1990.
12 Mircea Eliade: Lo sciamanismo e le tecniche dell'estasi, Edizioni Mediterranee, Roma, 1988, pag. 129.
13 Non comprendiamo, per esempio, perché il titolo dei libro Las Enseñanzas de don Juan di Carlos Castaneda, sia stato tradotto A scuola dallo stregone: Don Juan è un maestro, e i suoi insegnamenti sono di ordine spirituale.
14 Cfr. per esempio G. Aguirre Beltràn: Medicina y Magia, INI, Mexico, 1987, Capitolo "Nagualismo y complejos afines". Inoltre, sul tema del Nagualismo, si veda: M. de La Garza: Sueño y alucinaciòn en el mundo Náhuatl y Maya, Unam, Mexico 1990, pagg. 172-175. M. de La Garza: Jaguar y nagual en el mundo Maya, Studia humanitatis, Unam-FFL-Mexico 1987. M. de La Garza: Naguales Mayas de ayer y de hoy, Revista española de antropologia americana, XVII, Facultad de Geografia e Historia, Universidad complutense de Madrid, 1987. Douglas Sharon: El chamán de los cuatro vientos, Siglo XXI Editores, Mexico D.F. 1988, pag. 182-187. Hamer, Halifax y ottos: El viaje del chamán, Ed. Kairos, Barcelona 1989, pag. 263, 270, 294, 286. P. Moscoso Pastrana: Las cabezas rodantes del mal, Porrua, Mexico D.F. 1990, pg. 13-43. I. Signorini e L. Tranfo: Gente di laguna, Ed. F. Angeli, Milano 1979, Capitolo « Tono e Nagual» e F. Dubant e M. Marguerie: Castaneda el camino del guerrero, Ed. Indigo, Barcelona, 1987, paragrafo « Tonal y Nagual» e segg.
15 Mircea Eliade, La nascita mistica, riti e simboli d'iniziazione, Ed. Morcelliana, Brescia, 1988, pag. 10.
16 A. Artaud, Al paese dei Tarahumara, Ed. Adelphi, Milano, 1989, pag. 133. Sulle danze precolombiane segnaliamo un'opera di Maria Sten: Ponte a bailar tu que reinas. Antropologia de la danza prehispanica, Ed. Joaquin Mortíz, Mexico, 1990.
17 Julius Evola: Rivolta contro il mondo moderno, Edizioni Mediterranee, Roma, 1984, pag. 191.
18 René Guénon: Considerazioni sulla via iniziatica, Ed. Melita, Genova, 1987, pag. 94.
19 « ... d'altra parte ... vari processi di desacralizzazione ritrasformano il sacro in profano». M. Eliade: La Busqueda. Ed. La Aurora, Buenos Aires, 1984, pag. 93.